Chiesa Pietra Vivente

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Le buone opere sono necessarie per andare in paradiso?


SEI TU SALVATO?

Cosa la Bibbia insegna sulla salvezza per grazia
e le conseguenti opere dimostrative
e non meritorie dell’uomo


Se a un cattolico romano di buona volontà che non crede nell’eresia dell’universalismo (che alla fine Dio salverà tutti) porgeste la domanda “sei tu salvato?” la probabile risposta potrebbe suonare più o meno così: “Chi lo sa? Io faccio del mio meglio, ma solo Dio potrà dirlo!”

Tuttavia, la Bibbia parla abbondantemente della certezza della salvezza che ogni vero credente può e deve possedere mentre è in vita (vedi Giovanni 3:16, 3:36, 6:47; Ebrei 6:17-19; 2 Pietro 1:10-11; Romani 5:17, 8:15, 11:29; Efesini 1: 13-14, 2:8-10; 2 Corinzi 1:21-22).

Dio fa delle promesse a coloro che credono e ripongono la loro fede in Cristo e i veri credenti riposano sulle infallibili promesse di Dio fondate unicamente sulla persona e sull’opera di Cristo. Pertanto, l'opera salvifica di Cristo è essa stessa l'unico fondamento della fede salvifica che Dio dona al peccatore rigenerato. La certezza della salvezza eterna del credente peccatore è ulteriormente rafforzata e confermata dalla continua e giornaliera opera santificante dello Spirito di Dio nel peccatore stesso. I veri credenti che confidano nella sufficienza della sola persona e opera salvifica di Cristo confidano nelle promesse oggettive, certe, infallibili e immutabili di Dio. Tuttavia, se alla perfetta opera di salvezza compiuta da Cristo sono aggiunte anche le imperfette opere meritorie dell'uomo, proprio perché l'uomo è per natura peccatore, ingannevole, fallibile e inaffidabile (Geremia 17:9), nessuno può ricevere né sperimentare l’infallibile certezza biblica della salvezza.

Inoltre, la Bibbia afferma che, nel suo cammino terreno con Cristo, il credente prima o poi, matura la certezza della salvezza donatagli mediante (a) la comprensione di quel che Dio afferma di noi nella Sua Parola, (b) l'evidenza oggettiva dell'effettivo possesso di quelle grazie o virtù di cui la Parola di Dio parla, e (c) la testimonianza interiore dello Spirito Santo che permette al credente di crescere sia nella conoscenza della Parola che nelle virtù cristiane.

I cattolici romani che basano la loro salvezza sulla grazia divina + il merito umano, sulla fede + le opere umane, e su Cristo + il magistero della chiesa romana, non potranno mai e poi mai essere sicuri della loro salvezza poiché stanno semplicemente fondando la loro eternità non sull’infallibile opera di Dio soltanto, ma anche, se non principalmente, sulla fallibile opera dell’uomo stesso che deve esser salvato!

La Bibbia non lascia scampo ad altre interpretazioni. Il peccatore penitente riceve la salvezza solo per grazia e mediante la sola fede nella persona e nell'opera perfetta e sufficiente di Gesù Cristo (Efesini 2: 8-9; Atti 4:12).


DA DOVE PROVIENE L’ERRATO INSEGNAMENTO ROMANO?


La Chiesa di Roma, così come la conosciamo oggi, è il risultato di un costante allontanamento dalla verità scritturale iniziato tra il IV e V secolo d.C. in seguito alla “cristianizzazione” dei pagani imposta dall’imperatore romano Costantino. L'odierno impianto dottrinale cattolico romano fu sistematicamente organizzato in occasione della Controriforma, durante il Concilio di Trento (1545-63 d.C.) e poi ribadito e, in una certa misura, implementato durante il Primo e il Secondo Concilio Vaticano (1869-1870 d.C., 1962-65 d.C.).

In risposta alla Riforma Protestante, la Controriforma romana cristallizzò il sistema dottrinale romano già corrotto dalle varie pratiche e dottrine anti-bibliche accumulate nei secoli precedenti. Rifiutando e anatemizzando la dottrina biblica dell’imputazione della giustizia di Cristo all’ingiusto peccatore il Concilio di Trento (Sessione VI - Canoni 9, 12, 14, 24 e 30) non fece altro che etichettare la Chiesa Romana come una setta definitivamente deviata dalla Sacra Scrittura.

Tuttavia, seppur la chiesa ha progressivamente apostatato nel corso dei secoli, Cristo ha sempre conservato per Sé e per la Sua vera Chiesa un residuo di difensori e promotori della vera fede cristiana.

Il 31 ottobre del 1517 è stato scelto come il giorno simbolico della ‘nascita’ del ramo protestante del cristianesimo. È la data in cui i protestanti celebrano la Riforma come il ritorno alle Scritture, a ciò che esse insegnano. Pertanto, la Riforma è un ritorno ad Fontes, alle origini della fede cristiana ed è nient’altro che la continuazione degli insegnamenti apostolici e del cristianesimo primitivo. È il ritorno alla buona novella della salvezza per sola grazia, mediante la sola fede, in Cristo soltanto.

Le corruzioni dottrinali cattoliche romane hanno completamente distorto e compromesso la dottrina biblica sulla salvezza. Questa corruzione porta confusione (e disperazione) tra i suoi seguaci più sensibili e sinceri al punto che, se essi sono coerenti con l’insegnamento cattolico romano, non possono più sapere o affermare se sono o saranno salvati, perché, per la chiesa romana, la salvezza non è un'opera monergista (del Dio sovrano soltanto) né solamente trinitaria, ma è un’opera sinergista in cui Dio fa la sua parte e l'uomo la sua, mettendo su un binario morto l’irraggiungibile salvezza del peccatore.

Il sistema dottrinale cattolico romano, infatti, sancisce che la salvezza può essere raggiunta per grazia di Dio + il proprio merito. In altre parole, mediante la fede in Cristo + le proprie opere buone scaturite 'sacrificio' quotidiano del peccatore che vorrebbe esser salvato.

Ai cattolici di buona volontà viene insegnato che per meritare salvezza e per rimanere in uno stato di grazia bisogna compiere opere buone. Si dice che queste opere buone vantino un "merito de condigno" davanti a Dio, per cui Dio si è impegnato di ricompensare la persona che le compie. Tuttavia, anche se i cattolici insistono sul fatto che le ricompense di Dio superano sempre e di gran lunga il valore intrinseco dei loro meriti, falliscono però di riconoscere che è pur sempre un’opera umana quella che Dio deve ricompensare ai fini dell’ottenimento della salvezza.

Ma l'apostolo Paolo è lapidario: la salvezza, “se è per grazia, non è più per opere; altrimenti, la grazia non è più grazia; ma se è per opere, non è più per grazia, altrimenti l’opera non è più opera” (Romani 11:6). Biblicamente parlando, ci viene insegnato che siamo salvati "per" le opere buone, non "mediante" esse (Efesini 2:8-10; Tito 3:5; Giacomo 2:18, 20, 24). La teologia cattolica romana confonde tragicamente l’atto istantaneo della giustificazione di Dio (cioè la salvezza donata sovranamente al peccatore per i meriti di Cristo) con l'opera della santificazione operata da Dio nel peccatore salvato (Decreti del Concilio di Trento, Sessione IV - Capitolo VII), la quale è una visibile opera divina che viene compiuta dallo Spirito Santo nel peccatore già salvato durante tutta la sua vita.

Per questo la teologia riformata rifiuta qualsiasi dottrina secondo la quale il peccatore contribuisce con qualche merito alla sua giustificazione (o salvezza). La cosiddetta dottrina cattolica romana del “tesoro dei meriti” accumulato da uomini pii e messo a disposizione dei meno pii, è nient’altro che uno straccio sporco davanti al Dio santissimo (Isaia 64:6), e le nostre opere “buone” sono men che inutili ai fini della nostra salvezza.

Cristo è andato personalmente e volontariamente al Calvario per offrire il Suo sacerdotale sacrificio di sangue per propiziare (o rendere nuovamente ben disposto) Dio verso il Suo popolo (Giovanni 10:11, 15, 17, 18) ed espiare (o rimuovere) i peccati dei Suoi al fine di rivestirli con la veste di giustizia da Lui guadagnata mediante la Sua obbedienza personale, perfetta e perpetua (Isaia 61:10). Dunque, l'obbedienza di Cristo a tutta la Legge di Dio, e il Suo sacrificio alla croce è un’opera completamente sufficiente e perfetta e nulla di ciò che noi pensiamo di fare deve essere aggiunto ad essa. Solo l’opera di Cristo (la Sua obbedienza e il Suo sacrificio) giustifica, e dunque salva, gli eletti di Dio. Quindi, il fondamento del nostro essere accettati come giusti davanti a Dio (cioè salvati) è completamente extra nos (al di fuori di noi). L'insegnamento biblico della giustificazione per sola fede esclude categoricamente e per sempre la possibilità dell'uomo di potersi vantare e in qualsiasi modo contribuire alla propria salvezza (Efesini 2:8-10).

Le Scritture insegnano che la nostra giustificazione (cioè, l’essere salvati essendo dichiarati giusti davanti al tribunale di Dio) è per sola fede e non per qualsiasi opera che noi, peccatori imperfetti, possiamo fare o abbiamo fatto per ingraziarci Dio (Romani 5:12-19). Come scrive Paolo: “Ora a chi opera, il salario non è messo in conto come grazia, ma come debito; mentre a chi non opera ma crede in colui che giustifica l’empio, la sua fede è messa in conto come giustizia” (Romani 4:4-5).

Attraverso un ritorno alle Scritture, dunque, i Riformatori hanno sradicato la zizzania e potato ciò che è stato impropriamente aggiunto nel corso dei secoli per riportare la Chiesa di Cristo sul binario della sana dottrina. Essi hanno reintrodotto in maiuscolo l’aggettivo "solo" per riportare la chiesa a insegnare e predicare nuovamente la salvezza come ad una sovrana opera trinitaria concessa al peccatore per SOLA grazia, ricevuta per la SOLA fede riposta SOLO in Cristo e in accordo alla SOLA Scrittura, affinché a Dio SOLO vada tutta la gloria.

Paolo squalifica perentoriamente la dottrina cattolica romana della salvezza attraverso la fede + qualsiasi altra cosa aggiunta dall’uomo. Tuttavia, negli ambienti cattolici romani si cerca di sostenere gli errori della propria teologia non biblica mediante sforzi eisegetici (cioè cercando di far dire al testo biblico ciò che esso non dice) facendo riferimento a testi come Galati 5:6, "Infatti, in Cristo Gesù non ha valore né la circoncisione né l’incirconcisione; quello che vale è la fede che opera per mezzo dell’amore” o Giacomo 2:17, “Così è della fede; se non ha opere, è per sé stessa morta”. In tal modo, in tali ambienti si cerca di dimostrare che la dottrina della salvezza ricevuta per "sola fede" (senza opere) non è biblica perché una fede priva di carità (o amore) e di buone opere è una fede morta (fides informis o fede non formata) ed è insufficiente ai fini della salvezza. Dicono che la fede salvifica nasce solo quando è attiva nella carità e nelle opere buone (fide formata caritate o fede formata dall'amore).

Nella visione cattolica romana della salvezza, la grazia, la fede e Cristo sono sì ‘ingredienti’ necessari ma non sufficienti. I meriti, le opere e il coinvolgimento personale del peccatore sono ‘ingredienti’ altrettanto necessari affinché Pietro apra le porte del paradiso. Tuttavia, la dottrina protestante afferma che un cristiano salvato compirà certamente le buone opere (Matteo 7:17), ma esse sono solo una mera conseguenza della salvezza precedentemente ricevuta e fondata solo sulle opere perfette e sulla persona di Cristo. Le nostre buone opere imperfette non faranno mai parte di ciò che ci qualifica per entrare in paradiso, ma sono il frutto del nostro essere una nuova creazione in Cristo (2 Corinzi 5:17).


IL PARADISO È GUADAGNATO SOLO DALLE OPERE DI CRISTO


Il paradiso, dunque, è guadagnato solo dalle opere di Cristo ed è donato esclusivamente a coloro che credendo in Lui e Lo ricevono sia come loro Salvatore che assoluto Signore.

Ricordare alcuni testi della Genesi, nello specifico i capitoli 15 e 22, e di Giacomo capitolo 2, ci aiuterà a capire che le nostre buone opere non giustificano e non sono strumento per ricevere la salvezza come invece lo è la fede, ma costituiscono "il frutto e la prova che uno possiede una fede vera e viva" (Confessione di fede di Westminster - Capitolo 16.2, Sulla Fede).

La Bibbia afferma anche che "tutto quello che non viene da fede è peccato" (Romani 14:23) e "senza fede è impossibile piacergli" (Ebrei 11:6). Ciò significa che un non credente (una persona non rigenerata) non può compiere opere buone in accordo al santissimo standard della volontà di Dio, ma solo i credenti possono offrire delle opere che "procedono dalla vera fede" le quali sono considerate da Dio come "opere buone" (Catechismo di Heidelberg D&R 91). Quando il cuore di un peccatore viene rigenerato (Atti 16:14), egli crede, riceve e matura la fede in Cristo, si pente ed è istantaneamente, legalmente ed eternamente giustificato (o salvato) dalla libera grazia di Dio, perdonato di tutti i suoi peccati, accettato come giusto davanti a Dio, perché la sua salvezza è fondata solo sulla giustizia di Cristo a lui imputata e da lui ricevuta mediante la sola fede in Cristo (Catechismo Minore di Westminster D&R 33). Spero risulti chiaro al lettore che solo dopo che il peccato e la colpa del peccatore sono stati cancellati la vera fede in Cristo può finalmente produrre opere buone come prova certa della salvezza ricevuta.


C’É UNA CORRELAZIONE BIBLICA TRA LA SALVEZZA E LE BUONE OPERE?


Quando Lutero e i Riformatori insistettero sulla formula della giustificazione per sola fede, essi intendevano che la giustificazione è fondata sulla incrollabile fiducia che il peccatore pone sul solo merito di Cristo, poiché anche le nostre migliori opere che noi ci sforziamo di fare sono sempre e comunque contaminate dal peccato e quindi insufficienti per meritare o minimamente contribuire alla nostra salvezza. E bene però precisare che anche l’esercitare la propria fede non è un’opera di cui vantarsi, perché la fede è sempre un dono immeritato che il peccatore rigenerato riceve da Dio per appropriarsi di Cristo (Ebrei 12:2). Non a caso Paolo afferma che, “mediante le opere della legge nessuno sarà giustificato davanti a lui” (Romani 3:20). Il Catechismo Minore di Westminster riassume che la giustificazione è un atto forense (ossia giuridico) di Dio, secondo il quale, pur rimanendo ancora peccatori, i peccatori sono dichiarati o considerati giusti in quanto Dio imputa la giustizia di Cristo sul loro conto.

Tuttavia, se il Nuovo Testamento non insegna la salvezza (o giustificazione) per opere, esso non insegna nemmeno la giustificazione per la professione di fede soltanto o per la sola pretesa di fede (vedi Giacomo 2). Insegna invece che l’atto giustificante di Dio produce nel peccatore la fede salvifica, e la fede salvifica produce sempre il frutto dell'amore (e delle buone opere) verso Dio e verso il prossimo.

Giacomo insegna che "la fede senza le opere è morta" (Giacomo 2:17). Tuttavia, nel riferirsi ad Abramo come sua principale dimostrazione di colui la cui fede è dimostrata dalle sue opere (v. 21) e affermando che "uno è giustificato per le opere e non per la sola fede" (v. 24), Giacomo non crea alcun conflitto dottrinale con gli scritti paolini, che pure fanno appello ad Abramo come principale dimostrazione di chi è salvato, giustificato, o dichiarato giusto, davanti al Signore, per la sola fede (Romani 4). È importante notare che, mentre Giacomo nella sua argomentazione fa appello a Genesi 22, Paolo si appella a Genesi 15. Agli occhi di Dio (Coram Deo) Abramo è dichiarato giusto (o salvato) solo sulla base della fede salvifica in Dio (Genesi 15:6), e quindi molto prima di offrire Isacco sull'altare (Genesi 22).

Dio conosceva bene la genuinità della fede di Abramo poiché era Lui stesso che glie l’aveva concessa. Ciò nonostante, la fede di Abramo, invisibile agli occhi dell’uomo, è resa visibile al mondo tramite ciò che egli ha fatto e come ha vissuto. Abramo è stato giustificato (ossia ha dimostrato di essere giusto) davanti agli occhi angelici e umani (Coram Mundo) non in Genesi 15 ma Genesi 22, quando egli dimostra che la sua fede è genuina attraverso la sua obbedienza esteriore e visibile (o buona opera) di offrire in sacrificio quel che Dio gli aveva richiesto: Isacco.

Nelle Scritture la parola ‘giustificazione’ è infatti impiegata con diversi significati: quando qualcuno è “dichiarato” giusto oppure quando egli stesso “dimostra” la sua giustizia. In Luca 7:35 Gesù usa la forma passiva del verbo 'giustificare' (δικαιόω), affermando che "la sapienza è 'giustificata' (ἐδικαιώθη) da tutti i suoi figli". Con questo dire Gesù afferma che gli insegnamenti di Giovanni Battista e di Gesù sarebbero stati dimostrati (o dichiarati) corretti e genuini da tutti coloro che avrebbero vissuto seguendo i loro insegnamenti, cioè dimostrando la loro obbedienza, che, di conseguenza, sfocia in opere buone verso Dio e il prossimo. Il significato dato da Cristo alla parola ‘giustificare’ in Luca 7:35 non allude all’essere riconciliati con Dio ed essere dichiarati giusti ai suoi occhi. Significa dimostrare la verità di un'affermazione precedente, vale a dire dimostrare che si è giustificati o salvati.

Proprio come in Luca 7:35, dove la vera sapienza è dimostrata essere genuina dal suo frutto (i figli di ubbidienza che essa genera), la fede di Abramo riposta in Dio è ‘giustificata’ (o dimostrata) dal frutto che produce, vale a dire, dalla sua obbedienza esteriore o opera mostrata in Genesi 22. Dunque, nessuna delle opere di Abramo fu causa meritoria della sua salvezza. Esse non aggiunsero alcun merito al merito già perfetto e sufficiente di Cristo. Anzi, hanno solo confermato la genuinità della fede salvifica posseduta dal patriarca, mediante la quale fede è stato giustificato davanti a Dio. Lo stesso vale per le nostre buone opere che scaturiscono dalla vera fede salvifica a testimonianza della salvezza già ricevuta.

Pertanto, l'insegnamento di Giacomo completa e non contrasta con quello di Paolo. Esso, infatti, sostiene che la genuina fede salvifica è quella fede viva che produce opere feconde che sono prove visibili rivendicanti (o provanti) davanti al mondo la validità e l’autenticità della propria fede invisibile e giustificante davanti al tribunale di Dio.

Dunque, se oggi viviamo alla luce del Vangelo, è perché quella luce è tornata a risplendere chiaramente con la Riforma Protestante. Quindi, lasciamo tale luce continui a risplendere e lasciamo che l’aggettivo ‘solo’ continui a caratterizzare le dottrine bibliche della salvezza, la quale, la si riceve per SOLA grazia, è ricevuta per la SOLA fede riposta SOLO in Cristo e in accordo alla SOLA Scrittura, affinché a Dio SOLO vada tutta la gloria!

Questa è la buona novella della nostra salvezza che ci è stata gratuitamente donata dal Cristo che per noi l’ha guadagnata!

Soli Deo Gloria.